Una nuova sfida: quella del contrasto allo sfruttamento del lavoro. Nell’anniversario del rogo che a Prato una notte di otto anni fa inghiottì, il 1 dicembre 2013, sette operai di origine cinese che nel capannone della Teresa Moda lavoravano e vivevano, uno dei tanti capannoni della città con dormitori e cucine improvvisate sistemate tra macchine da cucire e tagli e cuci, le istituzioni – e con loro procura, sindacati ed associazioni di categoria – alzano l’asticella e lanciano una nuova campagna. Contro lo sfruttamento di operai spesso immigrati e sotto ricatto. Contro il capolarato e condizioni di lavoro che rasentano la schiavitù. Una lotta anzitutto alle fragilità, con uomini e donne sfruttate che sono le prime vittime ma dove anche il tessuto economico sano della città rischia di essere minato per via della concorrenza sleale tra aziende che si crea.
A Prato, su 195 mila residenti che a settembre risultavano dai registri dell’anagrafe, vivono quasi 45 mila stranieri. Per limitarsi ai dati ufficiali. Pesano per il 23 per cento ed è una delle percentuali più alte in Italia.
Così, dopo il progetto Lavoro Sicuro avviato dalla Regione nel 2014 subito dopo il rogo del capannone in cui morirono cinque uomini e due donne, con 74 tecnici assunti per l’occasione controlli a tappeto nei primi tre anni in oltre ottomila imprese per ristabilire condizioni minime di sicurezza ed eliminare rischi come la presenza di bombole del gas o impianti elettrici fatiscenti, Asl, Comune, Procura, sindacato e centro studi interuniversitario Adir hanno firmato stamani, con la regia della Regione, un ulteriore protocollo che si pone l’obiettivo di combattere lo sfruttamento lavorativo. Come? Togliendo anzitutto acqua ai caporali e creando una robusta rete di protezione sociale attorno alle vittime, in modo da offrire loro un’alternativa e accompagnarli verso una nuova vita. Un protocollo, come è stato sottolineato stamani, che prova a rifuggire discorsi, urla o pura teoria e mira ad ancorarsi a fatti ed azioni concrete, forti del lavoro svolto in questi otto anni, consapevoli che non si può fare di tutta un’erba un fascio e che ci vorrà tempo ma che non si deve neppure nascondere la testa sotto la sabbia di fronte ad un fenomeno che è cresciuto.
“Rendere inutili i caporali è la migliore strategia” sottolinea in un messaggio il ministro del lavoro Andrea Orlando, che non ha potuto partecipare all’iniziativa al Museo Pecci di Prato. Nella lettera accenna anche ai 200 milioni che il Pnnr indirizza verso il superamento dei ghetti.
“Il 1 dicembre 2013 rimarrà una cicatrice per Prato e per la Toscana – si sofferma l’assessore all’immigrazione e alla legalità Stefano Ciuoffo – ma a quella tragedia la città e la Regione hanno saputo rispondere: prima con una mole di controlli quasi unica, poi con la consapevolezza che il contrasto da solo non è sufficiente ed occorre prevenire e costruire la legalità”. “Alla lunga – aggiunge – i risultati si sono visti, con un progressivo allineamento a condizioni di sicurezza e legalità e pure con l’emersione fiscale di fatturati in nero. Non tutto certo è risolto: nei mesi del Covid la curva si è appiattita e in alcuni casi tornata indietro. Per questo si deve continuare ad essere vigili e rilanciare, come in questo caso, con nuove sfide”.
Come quella della dignità delle persone fissata dalla Costituzione e richiamata dall’assessora al lavoro Alessandra Nardini. “Lo sfruttamento lavorativo è ancora una piaga profonda della nostra società – ricorda, collegata al convegno da remoto – Abbiamo il dovere di contrastarla con fermezza e non c’è dubbio che tra le lavoratrici e i lavoratori più a rischio ci siano quelli provenienti da altri Paesi, che spesso diventano vittime di sfruttamento e di fenomeni illegali, come il caporalato, non più confinati alla sola agricoltura”. “Ecco perché – aggiunge – come Regione abbiamo deciso di aderire alla manifestazione di interesse per la presentazione di idee e progetti per interventi di supporto all’integrazione sociale, sanitaria, abitativa e lavorativa di cittadini di Paesi terzi vittime e potenziali vittime di sfruttamento lavorativo proposta dal Ministero. Un lavoro che coinvolge altri assessorati e che dovremo fare confrontandoci con i territori e con le parti sociali”.
“Lo sfruttamento lavorativo crea disgregazione sociale – prosegue, anche lei collegata in video, l’assessora alle politiche sociali della Toscana Serena Spinelli – Ma crea anche dumping contrattuale e dunque un danno a quelle aziende che stano nelle regole. Si tratta alla fine di una piaga che non risparmia davvero nessuno e mettere in campo una rete di protezione sociale con forme di tutela idonee è l’unico modo per permettere, a chi è vittima, di uscirne e denunciare”.
Al seminario è intervenuta anche la consigliera regionale Ilaria Bugetti, presidente della seconda commissione.
Quanto al progetto Lavoro Sicuro i numeri degli ultimi sette anni, ricordati stamani, sono incoraggianti. All’inizio le aziende che si dimostravano in regola ai controlli non erano neppure il 16 per cento, adesso sono almeno una su due a Prato e oltre il sessanta per cento in tutta l’Asl. Le aziende inoltre non scompaiono come un tempo e più di otto su dieci ottemperano alle prescrizioni e si mettono in regola, con crescite peraltro del volume di affari non giustificabile dalla dinamica del ciclo produttivo che può essere indizio di un processo di legalizzazione complessiva del sistema.