E’ stata inaugurata questo pomeriggio, venerdì 1 dicembre, la mostra dell’artista Cesare Borsacchi dal titolo “Colori e dolori del pianeta” al Fortilizio della Cittadella (lungarno Simonelli). La mostra, curata dal critico d’arte Nicola Micieli, sarà visitabile fino al 17 dicembre con apertura nei seguenti giorni: sabato 2 e domenica 3 dicembre con orario 10.30-12-30 e 15.30-18.30; giovedì 7 dicembre con orario 15.30-18.30; venerdì 8, sabato 9 e domenica 10 dicembre con orario 10.30-12-30 e 15.30-18.30; giovedì 14 e venerdì 15 dicembre con orario 15.30-18.30; sabato 16 e domenica 17 dicembre con orario 10.30-12-30 e 15.30-18.30. Negli stessi orari di apertura della mostra di Cesare Borsacchi al Fortilizio della Cittadella, sarà aperta al pubblico anche la Torre Guelfa. L’organizzazione è a cura del Comune di Pisa con l’ufficio cultura ed è patrocinata dalla Fondazione ARPA.
«Cesare Borsacchi – dichiara l’assessore alla cultura, Filippo Bedini – è un pisano giramondo, ma un vero pisano, che ha vissuto i primi 25 anni della sua vita in San Rossore. Poi la vita l’ha portato in molti paesi stranieri, fino al 1995, quando è ritornato a casa a Pisa, dove ha continuato a svolgere la sua attività di pittore. La pisanità di Borsacchi è “certificata” dal fatto che anche Giuseppe Viviani, amico del padre, ha avuto modo di apprezzare e incoraggiare il pittore che muoveva i primi passi. Con la mostra di Cesare Borsacchi il Comune di Pisa intende, con convinzione, inaugurare un nuovo filone sinora non adeguatamente frequentato e valorizzato, e dedicato agli artisti che tra 800 e 900 hanno lasciato importanti tracce artistiche nel panorama locale e non solo. Se importanti istituzioni come Palazzo Lanfranchi e la Fondazione Pisa con Palazzo Blu hanno in questi anni aperto delle finestre sui nostri artisti tra 800 e 900, realizzando mostre in occasione di acquisizioni o con pezzi del loro patrimonio, il Comune può sicuramente fare meglio da questo punto di vista, anche stimolando iniziative come quella proposta da oggi al Fortilizio. Incominciamo da Borsacchi, che negli ultimi 50 anni ha effettuato mostre in Italia e all’estero e le sue opere sono presenti nei musei e nelle fondazioni di tutto il mondo. Pisa è sempre presente nelle sue opere: negli sgargianti colori di tanti quadri, che rimandano ai paesi africani e sudamericani da lui a lungo frequentati, la città d’origine si riaffaccia, emerge, fa capolino in svariate forme, a volte con richiami espliciti, altre con riferimenti velati. L’occasione della mostra al Fortilizio della Cittadella nel mese di dicembre è un bel regalo di Natale che Borsacchi fa alla sua amata Pisa».
«Per quanto controllata e persino in parte sigillata in una sorta di visualità araldica – ha affermato il critico d’arte Nicola Micieli – la pittura di Borsacchi possiede comunque una sua immediatezza, una trasparenza comunicativa. La formazione di Borsacchi, del tipo che in pedagogia si chiama ‘‘permanente”, il suo linguaggio e la sua sensibilità, è avvenuta per successivi incontri ed esperienze legate a contesti contrassegnati da una forte identità etnografica, oltre che a singole personalità creative incontrate e frequentate nel loro ambiente di vita e di lavoro. L’arte pre-colombiana e quella tribale africana, la cultura araba e islamica e quella latino-americana hanno contato quanto le opere di insigni grandi maestri dell’arte occidentale conservate nei musei, o la conoscenza sul campo di movimenti quali il muralismo messicano e di artisti di prestigio come Siqueros che non potevano non impressionare profondamente un pittore come Borsacchi attento alla sinergia tra tradizione culturale autoctona e le nuove proposte creative. Quel che conta è che da migrante Borsacchi ha assimilato sempre al proprio nucleo originario l’identità altra dei segni e delle illuminazioni raccolti durante il viaggio, nel senso che partendo dall’oasi di San Rossore e dal bacino materno dei monumenti pisani di Piazza dei Miracoli che così spesso si intravedono sullo sfondo del fitto della boscaglia, il suo percorso nei luoghi del mondo si è compiuto, stazione dopo stazione, sempre avendo presenti, interiorizzati, i luoghi nativi. Le immagini delle sue “visioni ischemiche” scaturite da una parentesi di “assenza” ovvero da un viaggio specialissimo nel cono d’ombra della malattia, confermano il carattere squisitamente interiore del viaggio visionario che Borsacchi compie con la pittura».