I satelliti si mettono “a dieta” e diventano più leggeri e imparano anche a comunicare attraverso la luce. I complessi apparati elettronici al loro interno potranno utilizzare la luce per comunicare tra loro, sfruttando la tecnologia “Optical wireless communication” (“Owc”) che garantisce il trasferimento di dati attraverso segnali luminosi, grazie a led e fotodiodi (ovvero dispositivi ottici a semiconduttore) senza usare cavi fisici. Questo comporterà un significativo risparmio in termini di massa da trasportare in orbita e una riduzione dei tempi di montaggio. Per studiare la fattibilità di un sistema di comunicazione di questo tipo e per produrre i primi prototipi funzionanti, l’Agenzia Spaziale Europea (Esa) ha finanziato il progetto “Tows”, acronimo che deriva da “Transmission of Optical Wireless signals for telecom Spacecrafts”, per un importo di circa 700mila euro, con il coordinamento di Ernesto Ciaramella, docente di Telecomunicazioni dell’Istituto TeCIP (Tecnologie della Comunicazione, Informazione, Fotonica) della Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa.
Il progetto ha appena raggiunto un rilevante traguardo scientifico. A Roma, presso la sede del partner di progetto Thales Alenia Space (joint venture fra Thales al 63% e Leonardo al 33%), l’azienda leader nella realizzazione di sistemi satellitari e infrastrutture orbitanti partner del progetto, e nello specifico nel suo laboratorio di ricerca e sviluppo Fablab, per la prima volta, diversi prototipi all’interno dello stesso satellite, distanti tra loro alcuni metri, si sono scambiati dati, utilizzando un protocollo di comunicazione in uso su tutti i satelliti reali, senza la presenza di alcun cavo, ma soltanto tramite l’utilizzo di led e fotodiodi, che hanno lavorato come “antenne ottiche” a raggi infrarossi.
Telecomunicazioni, osservazione della terra, servizi di navigazione ed esperimenti scientifici sono soltanto alcune applicazioni delle migliaia di satelliti in orbita intorno alla Terra. Ogni anno, infatti, sono lanciati in orbita più di mille satelliti e l’operazione richiede lo spostamento di masse significative. L’enorme razzo e la grande esplosione controllata che consente di uscire dall’atmosfera e di raggiungere l’orbita, il propellente che genera l’esplosione in grado di sollevare le centinaia di tonnellate di massa sono scene entrate nell’immaginario collettivo, con risvolti anche di carattere economico. All’aumentare della massa, maggiore diventa la quantità di propellente necessaria e anche i costi sono destinati a salire.
La massa di un satellite è dovuta soprattutto alla sua struttura, alle unità fotovoltaiche, alla strumentazione e alle unità di bordo e al cablaggio. Tutti elementi che sono essenziali al suo funzionamento, eppure – come ha dimostrato il progetto finanziato dall’Agenzia Spaziale Europea – alcuni di questi componenti, perfino i più delicati, possono essere sostituiti con soluzioni più semplici e sicure, che – per le comunicazioni – sfruttano appunto la luce.
All’indomani del primo test che si è concluso con successo, secondo le ricercatrici e i ricercatori coinvolti nel progetto coordinato dalla Scuola Superiore Sant’Anna di Pisa, sono molte e interessanti le implicazioni di questo risultato. “I cavi a bordo di un satellite sono molti, costano, occupano spazio e pesano. Ridurne il numero – spiega il coordinatore del progetto, Ernesto Ciaramella – consente di liberare spazio, ridurre il peso e i tempi di produzione. Inoltre, razzi più leggeri usano meno carburante, e comportano meno emissioni. La stessa tecnologia si potrà anche applicare alle fasi di assemblaggio, integrazione e test degli stessi satelliti. Inoltre, la luce non può attraversare le pareti, quindi le ‘antenne ottiche’ rappresentano una soluzione ideale per tutte le situazioni che richiedono elevata sicurezza e schermatura da interferenze esterne, oltre che per tutti gli ambienti all’interno dei quali le onde radio possono disturbare il funzionamento di altre apparecchiature”.
“In questo progetto – prosegue Ernesto Ciaramella – si sono sviluppate soluzioni per le comunicazioni all’interno del satellite, ma altre linee di ricerca prevedono anche la comunicazione ottica tra i satelliti e le stazioni di terra. In questo ultimo caso – conclude Ernesto Ciaramella – tali tecnologie si rendono necessarie perché vi è una crescente richiesta di banda, per esempio allo scopo di trasferire le informazioni di osservazione della terra”.