“Quegli “uomini neri” in bicicletta, di notte…..”

La nota stampa arriva da Unione Sindacale di Base – Federazione di Pisa
“Si chiamava Abdulkarim Souware il giovane che lo scorso 12 febbraio, in via Che Guevara a Pontasserchio, è stato travolto in bici da un’auto mentre rientrava al centro per immigrati San Jacopo. Aveva appena 22 anni e nel suo paese, in Senegal, aveva una moglie e due figli ai quali mandava ciò che riusciva a guadagnare svolgendo alcuni lavori saltuari.
Un incidente, solo un incidente. Il conducente è sceso subito ed ha prestato soccorso. Ma non c’è stato niente da fare. Poco dopo Abdul è spirato.
Abbiamo conosciuto Abdul, quando nel 2016 – 2017, insieme a centinaia di altri migranti partecipò alle manifestazioni che caratterizzarono, anche a Pisa, un intero periodo di mobilitazioni al fianco delle migliaia di richiedenti asilo che sbarcavano fortunosamente sulle nostre coste e risalivano attraverso uno sgangherato sistema di accoglienza il nostro paese, stipati spesso in centri di emergenza poco accoglienti, gestiti talvolta da loschi figuri come alla Tinaia, in provincia di Pisa.
Poi quel flusso si è interrotto. Orgogliosamente prima il ministro Minniti (PD) si è vantato degli accordi con gli scafisti per rinchiudere i migranti nei lager libici, denunciati dall’ONU come luoghi di tortura e mercimonio dei migranti come schiavi, poi Salvini (Lega) con i suoi decreti Sicurezza (ancora in vigore con il governo Conte Bis), che continua a vantarsi del calo del 90% dei flussi migratori. Ora i migranti possono liberamente morire in mare, o sui camion asfissiati, o nei tunnel autostradali, o assiderati nella neve dei passi di montagna.
Chi è rimasto, come Abdul, ingrossa le fila dei più poveri tra i poveri, dei lavoratori più discriminati, perché si devono adattare a vivere una vita di serie B, grazie alla legislazione razzista degli ultimi 20 anni, prodotta rigorosamente da governi di destra e di “sinistra”.
Quante volte abbiamo incontrato e continuiamo ad incontrare, nelle strade di periferia e della provincia della nostra città, così come accade nelle provincie di tutta Europa, gli “uomini neri” su biciclette di terza mano, spesso senza neppure illuminazioni catarifrangenti? Quante volte abbiamo pensato, dentro di noi, i rischi che corrono a viaggiare in quelle condizioni?
Del resto, quale altra possibilità hanno questi cittadini, ridotti quasi sempre a svolgere lavori umili e sottopagati, quando non ad un “volontariato” gratuito spacciato dalle istituzioni come metodo di integrazione, per far accettare agli autoctoni una presenza resa invisa da campagne massmediatiche ossessive contro neri, asiatici, stranieri? Quale altro modo hanno di spostarsi, quando il sistema di trasporti pubblici taglia le corse verso le periferie, impedendo a chi, non avendo risorse per acquistare un mezzo autonomo di trasporto, una mobilità che potrebbe rendergli la vita appena più facile, se non, come nel caso di Abdul, salvarla, la vita?
Questa è l’accoglienza che un paese “civile e sviluppato” dà a chi fugge, come Abdul, dallo sfruttamento e dal colonialismo di paesi “civili e sviluppati” intenti a rapinare dall’Africa risorse con tutti i mezzi necessari, dagli accordi commerciali capestro ai bombardamenti a tappeto.
Nel ricordo di Abdul, continueremo a batterci perché questi lavoratori, questi cittadini, conquistino il diritto a vivere dignitosamente, nel lavoro e nella quotidianità.
Ciao Abdulkarim, che la terra ti sia lieve.


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