Se n’è andata anche Cesira Pardini, altra sopravvisuta all’eccidio nazifascita di Sant’Anna di Stazzema.
Una storia la sua di coraggio – diciottenne, mise in salvo quel 12 agosto 1944 due delle sorelle più piccole e un altro bambino mentre la mamma ed altre due sorelle invece morirono – e una storia di memoria, testimone al processo al tribunale militare di La Spezia che sessantuno anni dopo l’eccidio che contò 560 vittime (solo 394 quelle alla fine identificate) condannò all’ergastolo le SS colpevoli del massacro.
“Cesira Pardini, medaglia d’oro al valore civile, ha vissuto la barbarie di una strage che ha distrutto un paese intero e gran parte della sua famiglia – commenta il presidente della Toscana, Eugenio Giani – ma è sempre stata ambasciatrice di pace. Le sue parole e la sua vita e testimonianza, come quella di Enrico Pieri scomparso lo scorso dicembre, ci ricordano che non bisogna mai dimenticare, ma ci illuminano anche sull’importanza di guardare avanti ad un futuro senza più guerre in un’Europa solidale che proprio dalle macerie della Seconda guerra mondiale è nata. Un’idea di Europa che assume un significato ancora più rilevante in questo momento, con la guerra che si sta consumando in Ucraina”.
“Le parole e la voce di Cesira Pardini, come di altre e altri sopravvissuti e testimoni dei drammi che hanno sconvolto il Novecento, non si affievolirà, neppure adesso che Maria non c’è più – sottolinea l’assessora alla cultura della memoria, Alessandra Nardini – La Toscana è da sempre in prima linea nella salvaguardia e nella trasmissione della memoria, con un’attenzione particolare alle nuove generazioni, che devono conoscere ciò che è stato, l’orrore e la vergogna del nazifascismo, per saper interpretare il presente, per non sottovalutare mai i pericolosi rigurgiti a cui ancora oggi assistiamo e soprattutto per costruire un presente e un futuro di pace, libertà e democrazia, liberi da violenze, soprusi e discriminazioni”. “Cesaria ed altri testimoni di quelle stragi – aggiunge – hanno speso le proprie energie, la propria vita, anche se questo spesso è stato doloroso, nel ricordare, nel tenere viva la memoria. L’hanno fatto pensando proprio, innanzitutto, ai giovani, e oggi come istituzioni non possiamo che onorarli garantendo e rafforzando il nostro impegno in questo senso”.
Nel processo al tribunale militare di La Spezia, ricostruendo il momento in cui la mamma e due delle sue sorelle furono uccise, Cesira Pardini spiegò che chi puntò la pistola alla testa della mamma non era un soldato tedesco ma un italiano.
E’ oramai acclarato infatti che quella mattina, nel paese di Sant’Anna allora diviso in più borghetti, i soldati tedeschi furono guidati sul monte che guarda il mare, fino alla Corsica e l’Argentario, da fascisti della Versilia. Soffocarono 560 vite per poi dare quasi tutto alle fiamme. Calarono da tre sentieri diversi e chiusero Sant’Anna ad imbuto. Un’azione premeditata e studiata. Rastrellarono chi poterono: donne, uomini e bambini, anche di pochi anni e mesi (come una delle sorelle di Cesira Pardini, venti giorni di vita, l’ultima nata del paese). Morirono nonni e genitori, figli e nipoti. Molti furono uccisi in casa o per strada, altri furono radunati nella piazza davanti alla chiesetta che ancora c’è e lì finiti a colpi di mitragliatrice. La loro storia è raccontata in un museo.
Uccisero Evelina, che quella mattina aveva le doglie del parto. Uccisero Genny, la madre che prima di morire, per difendere il suo piccolo Mario (Marsili), scagliò lo zoccolo in faccia al nazista che stava per spararle; e lo salvò, anche se il piccolo rimase offeso dal fuoco in gran parte del suo corpicino. Uccisero il prete Innocenzo, che implorava i soldati di risparmiare la sua gente. Uccisero più di un prete. Uccisero gli otto fratellini Tucci con la loro mamma.
Poi in quel luogo di morte e sterminio nel 2000 è nato il Parco nazionale della pace. Sotto una lapide, in cima alla montagna e al termine di una via crucis, che mette in fila i nomi di tutti quegli innocenti uccisi settantotto anni fa dai tedeschi con l’aiuto dei fascisti. Con i marmi delle Apuane a far capolino e i monti Leto, Gabberi e Ornato di guardia.