Sul fianco della nave, rosso su bianco, che di prima mattina alle otto, puntuale, attraversa il canale del porto, mentre il sole disegna la sagoma delle Apuane, scorre una scritta: “i diritti degli uomini devono essere di tutti gli uomini, proprio di tutti: altrimenti chiamateli privilegio”.

Le parole sono di Gino Strada, il medico e fondatore della onlus Emergency. E proprio di Emergency è la “Support life”, la nave lunga cinquantacinque metri e larga dodici, che stamani ha attraccato al porto di Marina di Carrara con 55 migranti a bordo soccorsi sabato 15 aprile in acque internazionali di fronte alla Libia: tra loro tre bambini di due e sei-sette anni, tre adolescenti di quindici-sedici e una mezza dozzina di donne. Tre giorni di navigazione sono serviti alla nave per arrivare in Toscana: ma era questo il porto assegnato dalle autorità italiane per attraccare.

La Toscana, come altre Regioni, è contraria al decreto legge e all’ordinanza che ha portato alla nomina, per sei mesi, di un commissario nazionale per i migranti.

“Siamo contrari perché si sta cercando di governare in maniera emergenziale un fenomeno che emergenziale non è – spiega e ribadisce l’assessore regionale alla protezione civile – Il problema è tutto qui: l’ordinanza peraltro prevede deroghe sulla realizzazione di strutture di accoglienza e per lo spostamento e il trasporto dei migranti, ma affronta il problema delle risorse, perché non si può fare accoglienza in maniera seria con 19 euro al giorno a persona. E infatti chi lo vorrebbe fare in mano serio, per aiutare davvero i migranti anche ad integrarsi, sta scegliendo di non partecipare”.

Così la Toscana per l’accoglienza immediata dei 55 migranti sbarcati oggi si è organizzata autonomamente: un modello esportato anche in altre regioni. Con il supporto volontario della Protezione Civile, a spese della Regione.

“L’immigrazione è un fenomeno strutturale – dice ancora Monni –. Le risposte semplici ai problemi complessi non hanno mai risolto niente. Chi attraversa il mare sa bene che lo fa rischiando la vita. Ma sa anche che a rimanere nel proprio Paese la speranza di sopravvivere sarebbe ancora meno.

Ci sono persone che portano addosso i segni delle violenze subite nei lager libici e le ferite provocate dallo stare su una braca al sole, rannicchiati in un angolo per ore e giorni, immersi in acqua salata mista a carburante e ai loro stessi escrementi”.

“Sono persone – prosegue – che scappano dalla guerra ma anche dai cambiamenti climatici, sempre più pericolosi: effetti dei nostri modelli di sviluppo sbagliati che si scaricano sui più fragili. In Somalia solo l’anno scorso la siccità ha fatto 46 mila morti, di cui la metà erano bambini. Queste persone continueranno ad arrivare ed avranno bisogno di risposte strutturali. Fingere, come fa il Governo, che sia un’emergenza vuol dire trovarsi un alibi, alimentare ansia e preoccupazione delle persone ingigantendo il problema”.

I giornalisti richiedono di nuovo anche la posizione delle assessore sui Cpr. “Sono spazi di detenzione con minori diritti rispetto alle carcere, dove ad esempio c’è invece un garante dei detenuti” sintetizza Monni.

“Sono fortemente contraria: non è la soluzione – ribadisce Spinelli -, oltre ad essere un luogo dove i diritti delle persone vengono completamente annullati. Noi abbiamo bisogno invece di capacità di rispondere ad un fenomeno migratorio che non è un fenomeno emergenziale. Abbiamo bisogno di finanziare un sistema di accoglienza diffusa, che vedeva il mondo del terzo settore, quando adeguatamente finanziato, esprimere qualità e competenza, con gruppi più piccoli a cui offrire supporto giuridico e psicologico e poi opportunità di inclusione”. “Le persone che arrivano in Italia – conclude Spinelli – sono da vivere come portatori di diritti e come opportunità”.


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