“Con l’estate che avanza e le città che si svuotano, chi resta solo e fatica a riprendersi dalle ripercussioni psicologiche del Covid è ancora più a rischio”. Lo dice l’Ordine degli Psicologi della Toscana, riferendosi a quella che è spesso citata come “sindrome della capanna”, condizione di malessere psicologico che può manifestarsi quando una persona, in seguito a un periodo di lunga clausura e isolamento, torna a interagire con gli altri e il mondo. L’occasione per lanciare l’allarme è stata data dal consiglio degli psicologi toscani che ha certificato con una ricerca dell’Ordine il bilancio delle richieste di aiuto psicologico della popolazione nelle province toscane. 

“L’ultimo report che abbiamo stilato – commenta la presidente Maria Antonietta Gulino – ci ha restituito un quadro ampiamente preoccupante. Durante il biennio pandemico, in Toscana, abbiamo assistito ad un’impennata di tutte quelle sintomatologie che si riconducono ad una volontà auto – escludente, di isolamento dal contesto sociale”. Tra queste patologie, come ricordato nel recente rapporto scaturito da un questionario rivolto agli iscritti all’ordine, spiccano l’ansia (riscontrata dal 56,3% dei professionisti intervistati), la depressione (17,38%), problemi relazionali (14%) e fobie sociali (5%). 
“Problematiche – prosegue Gulino – che adesso rischiano di acuirsi con l’estate e le vacanze. Paradossalmente, la naturale voglia di moltissime persone di riconquistare quella socialità dispersa mettendosi in viaggio e facendo comunità, può mettere a repentaglio la salute dei soggetti più vulnerabili, in mancanza di un’appropriata rete di ascolto e sostegno”. 

Il riferimento va a quelle persone che, durante la pandemia, hanno maturato una profonda avversione, sfociata in certi casi in autentica repulsione, per la socialità. Al punto che, nei casi più estremi, il solo pensiero di dover uscire di casa – identificata come una zona sicura di comfort, una “capanna” appunto – genera ansia, paura diffusa e stati depressivi. 
Una capanna che può trasformarsi in una prigione e l’individuo in un prigioniero di casa propria. Si bloccano le sue attività e ogni forma di ripartenza. 

“Come Ordine – conclude la presidente – ci sentiamo in dovere di tutelare questi soggetti. La possibilità che si smarriscano ulteriormente è peggiori o il loro stato di salute , perdendo anche gli ultimi utili anelli di collegamento con il mondo esterno – familiari, amici, vicini – è alta. Per questo chiediamo alle istituzioni locali di fare gioco di squadra al fine di fornire l’assistenza psicologica necessaria”.


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