“Portare le multinazionali che operano in una regione, con una legge nazionale, a stanziare risorse dai loro fatturati per creare fondi per aiutare i lavoratori, sotto forma di ammortizzatori sociali o di formazione per il ricollocamento, qualora ci sia una chiusura o una delocalizzazione. Sull’esempio di quanto è stato fatto col trattato Ceca. Fermo restando che prima vanno espletate tutte le azioni sindacali, legali, istituzionali, legislative, politiche e di lotta per impedire la chiusura”: è la proposta che ha lanciato Mirko Lami (segreteria Cgil Toscana) per difendere i lavoratori e il territorio di fronte ad una chiusura di una multinazionale. Lami ha lanciato la proposta durante l’iniziativa “Multinazionali, multieconomie, multilavoro, multidiritti”, organizzata stamani da Cgil Toscana e andata in streaming sulla pagina facebook del sindacato. Oltre a Lami, sono intervenuti Nicola Sciclone (direttore Irpet), Fabrizio Zannotti (segretario generale Cgil Livorno), Alessandro Volpi (docente Università di Pisa), Alessandra Nardini (assessora Regione Toscana), Fabrizio Monsani (Coordinatore commissione multinazionali Confindustria Toscana), Paola Galgani (segretaria generale Cgil Firenze), Gianna Fracassi (segreteria nazionale Cgil).

Ha spiegato Lami: “Multinazionali che arrivano e poi chiudono o scappano, multinazionali da attrarre nel rispetto del lavoro e del territorio, multinazionali che delocalizzano e lasciano pesanti impatti sociali: il tema è complesso, l’iniziativa di oggi ha voluto affrontarlo sapendo che non riguarda solo l’Italia, ma tutta l’Europa. Col dibattito a più voci e prospettive abbiamo cercato di entrare nel merito, nessuno ha la soluzione in tasca ma insieme dobbiamo tenere accesi i riflettori su quello che è e sarà una delle questioni centrali del nostro tempo. Si è parlato molto delle modalità con cui queste multinazionali licenziano: sms, whatsapp, mail. Ma più che sul metodo conta riflettere sul merito, su come evitare che si arrivi al licenziamento”.

Ha aggiunto Lami: “Non esistono multinazionali buone e multinazionali cattive in assoluto. Esistono le multinazionali, alcune legate a proprietari in carne ed ossa, ad esempio quella dell’acciaio a Piombino con Jindal, e altre guidate da finanziarie o fondi, come nel caso della Gkn di Campi Bisenzio. E quando il conto non torna, lo fanno tornare a scapito delle lavoratrici e dei lavoratori, non tenendo di conto di uno stato sociale che spesso è cresciuto e si è sviluppato proprio intorno a quella multinazionale. Mentre si discuteva di mettere regole sul mercato, non siamo stati in grado di mettere regole di come si argina il fenomeno della chiusura o dello spostamento in altre nazioni da parte di multinazionali che, quando aprono la loro attività, vengono spesso accolte da tappeti rossi per la mancanza di lavoro e di politiche industriali e poi magari ci lasciano con la distruzione di un tessuto sociale, se e quando decidono di chiudere. E questo è inaccettabile”.

I NUMERI

Sono oltre 15mila le multinazionali estere che operano in Italia. Impiegano più di 1,4 milioni di addetti e generano un fatturato da 594 miliardi di euro, pari al 18,6% del fatturato nazionale. Secondo gli ultimi dati Istat, relativi al 2018, sulla struttura e competitività delle imprese multinazionali, le aziende a guida estera operano prevalentemente nel settore dei servizi, dove se ne contano 11.118, mentre quelle attive nell’industria sono 4.401. In Toscana, in termini di ragioni sociali, si contano 2.800 multinazionali estere e 3.600 multinazionali italiane. Limitandosi al solo comparto industria il dato delle multinazionali estere scende a 500, sono realtà che danno lavoro a oltre 33.700 addetti. Le multinazionali estere rappresentano l’8% del totale degli addetti per l’industria toscana e pesano per il 15% in termini di valore aggiunto prodotto e per il 18% per il fatturato: il valore aggiunto prodotto da questo segmento di imprese per ogni addetto nell’industria è quasi il doppio rispetto alla media del settore. Il 70% dei nuovi investimenti arriva da multinazionali già presenti su un territorio, capaci di attivare ricadute sia in termini di addetti che di filiera.