PISA. Università aperta? Ma per chi? Se lo chiedono i rappresentanti sindacali dell’Usb dell’università di Pisa, istituzione da tempo al centro del dibattito per le scelte fatte rispetto alla ripartenza delle lezioni in gran parte con la didattica a distanza e solo per alcuni corsi in presenza. Scelta a così si aggiungono quelle relative alla chiusura di numerosi altri servizi e strutture Per contenere il più possibile il contagio.

“Al di là della facciata di eccellenza anche in era Covid – scrive il sindacato USB – come stanno andando davvero le cose nell’Università di Pisa? Sappiamo che, praticamente, la macchina non si è mai fermata, ma quali riscontri abbiamo dall’interno? In generale i lavoratori lamentano mancanza di trasparenza, di controlli, comunicazione inadeguata e la pressoché totale discrezionalità concessa ai responsabili delle singole strutture nell’organizzazione del lavoro”.

“Ancora nell’attuale Fase 3 si riscontrano incongruenze, dato che, nonostante l’indicazione contenuta nell’ultimo DPCM, di incrementare il lavoro a distanza, in diverse strutture non si attua nemmeno la soglia minima del 50%  prevista per legge e, anzi, molti lavoratori operano in presenza a tempo pieno – prosegue il sindacato, che poi affronta il problema degli spostamenti del personale – Nessuna attenzione è stata poi riservata alla problematica della mobilità, al fatto che un maggior numero di persone si muovono, utilizzano mezzi di trasporto, congestionano la città, si concentrano negli spazi lavorativi”.

Fortemente critico, poi, il commento del sindacato rispetto al tema delle santificazioni e in particolare per le condizioni di lavoro del personale addetto alle pulizie per il quale “ l  maggiorcarico di lavoro previsto non corrisponde né un aumento delle ore lavorabili, né del salario”.

“Per non parlare – prosegue la nota – della gestione dei casi Covid verificatisi all’interno dell’Ateneo in questi mesi e in questi giorni: vengono disposti isolamenti, quarantene e sanificazioni straordinarie, ma a mancare ancora una volta sono una comunicazione e un’informazione efficaci, generando così inevitabilmente diffidenza e senso di insicurezza. A chi giova questa riapertura delle strutture e dei servizi universitari in genere? Non certo agli studenti, soprattutto a quelli fuori sede che ne sono inevitabilmente esclusi. Anche perché non dobbiamo dare per scontato che in tempi di crisi tutti abbiano la possibilità di una connessione internet e di mezzi tecnologici per usufruire delle risorse e dei servizi da remoto! Nei laboratori e nelle biblioteche troviamo tecnici e bibliotecari, ma mancano coloro che dovrebbero esserne i maggiori fruitori. Riconosciamo certo l’utilità della didattica a distanza, ma non si può pensare di proporla quale soluzione alternativa e prospettiva futura, né si può negare che l’impossibilità di avere un contatto diretto con compagni di studio e docenti stia snaturando completamente quella che dovrebbe essere per gli studenti un’esperienza di vita e di studio altamente formativa, consapevole, condivisa e partecipata. E ciò è particolarmente vero per gli iscritti al primo anno, che si è deciso di escludere dalle lezioni in presenza”.

“In tutto ciò, però, le tasse universitarie vanno pagate lo stesso – conclude il sindacato – Qual è la logica di fondo in tutto questo? Tagliare le spese relative a personale, studenti e sicurezza  e, di contro, investire su ciò che produce profitto, attira mercato (progetti di ricerca sempre più ambiziosi ed innovativi, convenzioni, accordi con enti pubblici e privati, start-up) ed alimenta l’immagine di competitività che l’Università si è data. Eppure, come ben dichiara il bilancio, i soldi non mancano di certo. In questo senso, l’Unione Sindacale di Base continua a battersi perché l’Università non sia asservita alle logiche del mercato e ad interessi economici privati, ma resti prima di tutto un ente pubblico di formazione superiore, dove didattica, studio e lavoro rivestono un’importanza centrale tanto quanto la ricerca”.

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ultimo aggiornamento: 02-11-2020