Greve in Chianti, 31 ottobre 2020. Mentre la proprietà dello stabilimento ex Sacci (l’azienda è oggi denominata Testicementi Srl) procede con il progressivo smantellamento dell’impianto tanto da renderlo pressoché improduttivo, i 75 lavoratori dipendenti che da 8 mesi sono costretti a vivere di ammortizzatori sociali, in cassa integrazione e nella totale incertezza sul futuro continuano ad alternarsi, giorno e notte, per mantenere vigile e aperto il presidio di protesta, allestito nei pressi dello stabilimento, nel territorio di Greve in Chianti. Una voce di protesta collettiva, totalmente inascoltata dalla società, il gruppo Buzzi Unicem Spa, che al momento non si è espressa né sulle ragioni del percorso attuale né sulle prospettive dello stabilimento, lasciando cadere nel vuoto le richieste di dialogo, confronto e chiarimento avanzate dai lavoratori e delle organizzazioni sindacali. Oltre alla comunità che manifesta quotidianamente la propria solidarietà, sono le amministrazioni comunali di Greve in Chianti, San Casciano in Val di Pesa, Impruneta, Barberino Tavarnelle e Bagno a Ripoli ad aver avviato una rete politico-amministrativa di affiancamento, determinata a realizzare un’azione di sostegno, forte e incisiva, che torni a parlare in modo costruttivo con l’azienda allo scopo di individuare soluzioni mirate alla salvaguardia dei livelli occupazionali.

I sindaci questa mattina sono tornati ad ascoltare i lavoratori e le loro preoccupazioni insieme al consigliere regionale Massimiliano Pescini. “Al fianco dei lavoratori per difendere la dignità del lavoro in un’area in cui il lavoro è fondamentale per la tenuta economica e sociale di tutta la Toscana – sono le parole del consigliere Pescini – quella di Testi è una questione complessa che non può essere confinata al solo territorio chiantigiano ma assume rilevanza regionale. Se lo stabilimento chiuderà in via definitiva soffriremo della mancanza di un impianto, l’unico nella Toscana centrale con queste caratteristiche e potenzialità, che produce cemento in una fase in cui i tanti cantieri aperti per la realizzazione di infrastrutture in fase di esecuzione fanno supporre, al contrario, la necessità di esserne provvisti. Mi riferisco, solo per fare qualche esempio, all’Autostrada A1 tratto Barberino di Mugello Firenze Nord, all’A1 tratto Firenze Sud Incisa, all’A1 Variante di valico, al prolungamento delle tramvie, all’A11 Firenze-Mare. Se il ciclo produttivo del cementificio verrà dismesso la Toscana sarà in sostanza defornita di cemento e questo potrebbe avere ricadute negative sul fronte dell’innovazione tecnologica e della ricerca. Non si tratta solo di una crisi aziendale ma di una questione ben più ampia e i lavoratori hanno mille ragioni per alzare la voce. Ci troviamo di fronte al rischio di chiusura di uno stabilimento sul quale peraltro sono stati effettuati investimenti nel corso degli anni, avendo cambiato quattro proprietà negli ultimi cinque anni. Ciò che davvero mi risulta incomprensibile e inaccettabile è che la sua dismissione potrebbe dipendere da logiche di spartizione nazionale, non da scelte industriali legate alla scarsa funzionalità dell’impianto. Abbiamo il dovere di agire nell’interesse dei lavoratori e del futuro del nostro territorio”.

Nel corso dell’incontro con i lavoratori i sindaci Paolo Sottani, Roberto Ciappi, Alessio Calamandrei, David Baroncelli hanno potuto confrontarsi anche con le organizzazioni sindacali presenti all’iniziativa. “Ringraziando le amministrazioni comunali per il loro sostegno – commentano i rappresentanti di Filca Cisl Firenze Stefano Testi e Delia Bertani – confidiamo ora che la Regione Toscana assuma la cabina di regia per la ricostruzione di un dialogo con l’azienda, sorda alle nostre richieste. C’è bisogno di cemento, c’è bisogno di questo impianto di produzione, alla luce delle tante opere infrastrutturali in fase di realizzazione e in partenza in Toscana. E’ necessario che lo stabilimento riprenda la produzione e non si chiuda”.