In esclusiva allo Spazio Alfieri da giovedì 22 ottobre, h. 21.30(fino a mercoledì 28 ottobre in vari orari)Palazzo di Giustizia, delicato esordio alla regia di Chiara Bellosi, già presentato a Berlino nella sezione Generatione ora ad Alice nella città, è quello che gli americani chiamerebbero un courtroom drama, sotto sotto invece è la storia di una sorellanza tra una bambina, Luce (Bianca Leonardi), e una ragazzina, Domenica (Sarah Short), che le circostanze hanno messo contro, ma che sorelle lo sono nello spirito proprio a causa di quelle circostanze. Sono entrambe figlie: la prima di un rapinatore che ha tentato un colpo a una pompa di benzina, la seconda del benzinaio, che ha sparato e ha ucciso il complice.
Una giornata di ordinaria giustizia in un grande tribunale italiano. Al centro, nel cuore del palazzo, c’è un’udienza: sul banco degli imputati un giovane rapinatore e il benzinaio che, appena derubato, ha reagito, sparato e ucciso l’altro, giovanissimo, complice. C’è il rituale, c’è un linguaggio, ci sono le toghe. Gli interrogatori, le prove, i testimoni. Ma noi vediamo anche (o soprattutto?) quello che sta fuori: i corridoi, gli uffici, il via vai feriale del tribunale, il rumore, il disordine. Le famiglie degli imputati e delle vittime, fuori, in attesa.
Il palazzo di Giustizia – racconta la regista Chiara Bellosi – È insieme uno dei luoghi più spersonalizzanti e più carico di umano che esista. La partenza è stata un semplice stare all’interno del Palazzo di Giustizia di Milano e osservare, per mesi. Seduta sulle panche o vagando tra un corridoio e un’aula a volte mi sono domandata che cosa fossi venuta a fare lì. Poi un giorno, nell’atrio della Corte d’Assise, ho visto una bambina spettinata con una tuta di ciniglia fucsia, seduta su una cattedra che scherzava con la sua giovane madre. Poco lontano, su una terrazza, sua nonna fumava e diceva: “Se a disgrazia si aggiunge disgrazia…”. In questo momento è nata Luce. E con Luce la storia. Nel grande contenitore, il Palazzo, in una giornata di funzionamento ordinario. Il cuore magnetico della storia è l’aula di udienza, il nucleo denso in cui avviene il “caso”. Un linguaggio preciso, un andamento procedurale, i fatti: l’asetticità, le formule di rito, l’ordine degli interventi e l’autorità dei ruoli sono rigorosi. Appena fuori da questo centro magnetico, nel tempo dell’attesa, c’è la vita che anche lì dentro vuole essere: fame, noia, sonno, amore, vicinanza.